
Antonio Avenoso
Diario dalla quarantena
ISBN: 978-88-99416-393
Pp.: 72
Collana: Novellando
In copertina: opera di Ugo Nespolo, collezione privata.
Prezzo: 12,00 euro
Anno: 2020
Per ordinarlo scrivere a info.ilfilorosso@gmail.com
Una vecchia scrittrice avanti negli anni e con il pensiero sulla vita. La splendida luna delle sere dell’otto e nove di aprile: leniscono le notizie giornaliere sulle tantissime morti. Un giovane uomo, legge l’Espresso di qualche mese prima su una terrazza. La camorra, il suo insinuarsi, appena le povertà verranno fuori. Un fugace rapporto madre-figlia destinato a non risolversi. I vecchi che sgranano gli occhi increduli. Le morti di Bergamo, le morti italiane. Taranto che vede finalmente il suo cielo terso. Milano a non darsi pace. Napoli, l’Italia ferita, il Paese che vuole rialzarsi. Il borgo immerso in un silenzio diverso e nuovo. Sono solo alcune delle brevissime storie riportate in un libro di rara contemporaneità. C’è tutta la poesia e l’emotiva intelligenza a traboccare nelle pagine che Antonio Avenoso ci consegna a futura memoria.
Antonio Avenoso è nato e vive a Melfi. Ha pubblicato trenta libri. Ha scritto di poesia, saggistica e arte contemporanea su Tarsia, La nuova Basilicata, Il quotidiano del Sud, sul semestrale di cultura “ilfilorosso”, la rivista Appennino. Due sceneggiature per la RAI. Fa parte della giuria del Premio Letterario Carlo Levi.
Dicono di noi:
Articoli segnalati:
di Lorenzo Zolfo
Siamo nel profondo delle nostre case, isolati e in quarantena, le voci si levano dalle mura, il silenzio fuori è assordante. Nei piccoli paesi come nelle città bisogna battere il vuoto. Ci sono in questo bel libro storie vicine e lontane, le riflessioni intime e poetiche, i paradossi di una realtà a noi prossima, la sfida ad eludere i piccoli e grandi malesseri della contemporaneità. Antonio Avenoso passa dalla poesia alla narrativa breve come da un sogno al vivere. Sa dare forma alla nostalgia ma nello stesso tempo rivela l’attualità. Poi ci sono frammenti e microstorie, racconti brevi e poesie, prova riuscendoci a vagabondare nella scrittura.
di Dolores Nicastro
Chi l’avrebbe mai detto o pensato di doversi trovare ex abrupto a vivere relegati in mura d’occasione o in quelle della propria abitazione, di una stanza e per mesi, adattare le proprie vite, allontanare conoscenze, parentele e affetti dal proprio cerchio vitale a causa di un nemico invisibile. Quante volte tale affermazione è volata tra i nostri pensieri, nelle nostre orecchie e poi, tutti o quasi tutti, l’abbiamo detto e fatto. Un’occasione per fermarsi e soffermarsi a riflettere, pensare di cambiare abitudini deleterie per sé e per il prossimo, riappropriarsi del proprio spirito soffocato dal gazzarraroso caos del mondo che corre sempre rumoreggiante, pressante; anche questo strapensato e straridetto così come anche ritrovarsi catapultati in quello stato da cardiopalma ben conosciuto e racchiuso nel termine “crisi”. Parola che riecheggia ormai di sola accezione negativa perché è prevalsa quella medica ed economica ma che in realtà la sua etimologia (dal greco krisis scelta, dal verbo krino che in origine era di derivazione agricola, riferito alla trebbiatura quindi separare, scegliere, distinguere), ben più saggiamente, rimanda alla condizione di dover prendere, che piaccia o meno, una decisione e in tal senso di ricorrere all’attenzione, alla concentrazione, al raccoglimento quindi ad altra circostanza che non può prescindere dalla necessità di uno stato di silenzio. Eccolo, il silenzio. Tutti sugli attenti davanti al silenzio! Ci sono però silenzi e silenzi; quello di depressione, di paura, di dolore, quello imposto, di indifferenza, di riverenza, quello immusonito e poi c’è quello della meditazione centrata, della bellezza e consapevolezza, dell’intuizione e del rinnovamento, quello che precede una creazione; come quello fortunato di pittori, poeti e scrittori, degli artisti insomma, quelli veri, quelli invidiati che del “silenzio” ne sono ghiotti divoratori. E sono silenzi quelli che prendono forma nelle annotazioni giornaliere di Antonio Avenoso durante la quarantena forzata di un mondo intero. Vite condensate in pensieri intagliati su fogli, silenzi che restano segreti, isolati ma avvinghiati tra loro se nessuno li sfoglia e non a caso Avenoso apre il diario con la citazione da Il fiore rosso e il bastone di Herta Müller che il silenzio lo ha saputo raccontare come mai nessuno e con stile inconfondibile.
A. Avenoso ha tessuto, stratificando in microstorie l’esistenza dei sui personaggi rinchiusi e racchiusi nella privatezza delle loro mura vere o sballate come piani a volte sgangherati di un palazzo e poi le mostra srotolate, proiettate come una sorta di video mapping in cui le pareti si dissolvono e si può osservare ogni sagoma dei protagonisti prendere vita simultaneamente in una visione complessiva, in una sorta di realtà aumentata tra finzione e verità. Li osserviamo collegati ma allo stesso tempo disconnessi dal presente. Li guardiamo mentre conservano le proprie manie, i gesti stereotipato dell’usuale; impariamo a leggerne le paure vagando tra i loro pensieri. Essi sono ignari, non sanno di essere osservati a barcamenarsi tra i giorni della pandemia da covid-19 e l’incerto in cui ognuno è stato privato della libertà di scegliere come vivere l’attimo e così il silenzio è diventato rifugio per rintracciare la quiete oppure un tiepido tentativo di effondere una parvenza di serenità mentre forse si sta solo accogliendo un ottimismo superficiale. Li scrutiamo e li potremmo disprezzare o giudicare sbagliati (come in Di questo mondo e degli altri di José Saramago, dalla quale è tratta la seconda citazione del paratesto di A. Avenoso).
E se questa epidemia ci avesse reso tutti in qualche modo “personaggi sbagliati”? Qualcuno illuso di poter continuare a far scivolare sbadatamente il proprio tempo senza assegnargli il valore di una differenzazione esistenziale e qualcun altro altrettanto illuso di aver trovato la grande verità della vita nel silenzio piombatogli dentro, generato dalla paura che paralizza o rimesso in circolo dai ricordi e nutrito da desideri nascosti che però possono anche essere solo forme di silenzio apparente e diventare invece un elemento di disturbo se riflesse nello specchio del sé.